Numerose persone considerano la morte come l’esperienza conclusiva dell’esistenza. Tuttavia, grazie agli sviluppi nel campo della rianimazione e della medicina critica, sono emerse teorie che mettono in discussione se la morte rappresenti veramente il capolinea assoluto dell’essere. Sam Parnia, a capo della divisione di ricerca sulla rianimazione presso la New York University, ha condiviso i risultati dei suoi studi in questo ambito pionieristico.
Le parole del ricercatore
Per Sam Parnia la morte coincide con il momento in cui il cuore smette di battere. Cos’ha affermato: “Chiamiamo questa morte secondo criteri cardiopolmonari ed è così che viene definita la morte per oltre il 95% delle persone. Una persona smette di respirare e il suo cervello si spegne, causando la cessazione di tutti i processi vitali. Più recentemente, con la nascita della moderna medicina di terapia intensiva e la capacità di far battere artificialmente il cuore delle persone, i medici come me possono far battere il cuore di un paziente più a lungo. Laddove le persone possano aver subito danni cerebrali irreversibili e morte cerebrale, ciò porta a una situazione in cui il cervello è morto, ma il cuore della persona batte ancora, quindi legalmente vengono dichiarati morti in base alla morte cerebrale irreversibile o alla morte secondo criteri di morte cerebrale”.

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E ancora: “Ciò accade in una piccola parte dei casi in cui le persone vengono dichiarate morte. Per millenni la morte è stata considerata un evento irreversibile e nulla poteva restituire la vita. Negli ultimi dieci anni ci siamo resi conto che è solo dopo la morte di una persona che le cellule del suo corpo, compreso il cervello, iniziano il proprio processo di morte. Una volta pensavamo che ci fossero cinque o dieci minuti prima che le cellule cerebrali morissero per mancanza di ossigeno, ma ora sappiamo che è sbagliato. Hai ore, se non giorni, prima che il cervello e altri organi del corpo vengano danneggiati irreversibilmente dopo la morte. In realtà è il ripristino dell’ossigeno e del flusso sanguigno negli organi dopo che il cuore di una persona si ferma, ma viene poi rianimato, che paradossalmente porta alla morte cellulare accelerata. Quindi, questo processo accelerato di danno secondario è ciò che dobbiamo combattere ora in medicina”. Fonte: IlMessaggero.it.
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