Francesco Schiavone, alias Sandokan, per decenni a capo del clan dei Casalesi, ha intrapreso un percorso che pochi avrebbero immaginato: la collaborazione con la giustizia. Questa decisione, presa dopo 26 anni di detenzione, molti dei quali in regime di 41 bis, segna un punto di svolta significativo nella lotta contro la criminalità organizzata in Italia, promettendo di rivelare i segreti di una delle organizzazioni criminali più potenti e temute del paese.
Gli Inizi di Sandokan nel Mondo del Crimine
La carriera criminale di Francesco Schiavone inizia presto, con un primo arresto a 18 anni per detenzione di armi. L’ingresso nella “Nuova Famiglia”, guidata da Antonio Bardellino e Mario Iovine, lo pone in prima linea nella lotta contro la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Con l’omicidio di Bardellino in Brasile nel 1988, Schiavone emerge come il nuovo leader incontrastato del clan, dando inizio a una fase di espansione e infiltrazione nei settori dell’imprenditoria e della politica locale.
L’Ascesa e il Potere dei Casalesi
Sotto la guida di Schiavone, il clan dei Casalesi si afferma nel traffico illecito di rifiuti, tra gli altri settori. La sua leadership porta il clan a un livello di potere e influenza senza precedenti, con forti connessioni nel tessuto socio-economico e politico della regione. Il suo arresto nel 1990, durante un blitz nella casa dell’allora vicesindaco di Casal di Principe, e la successiva cattura nel 1998, segnano momenti cruciali nella lotta dello Stato contro la mafia.
Il Processo Spartacus e la Condanna
Il maxi processo Spartacus, basato sulle indagini della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, vede Schiavone tra gli imputati principali. La sua condanna all’ergastolo, insieme a quella di altri boss come Francesco Bidognetti, Antonio Iovine e Michele Zagaria, rappresenta una vittoria significativa per la giustizia italiana contro il clan dei Casalesi.
La Decisione di Collaborare con la Giustizia
Dopo anni di silenzio e nonostante una diagnosi di tumore nel 2018, Schiavone sceglie di seguire l’esempio dei suoi figli Nicola e Walter, diventando il secondo capoclan dei Casalesi a collaborare con la giustizia. Questa scelta non solo apre nuove vie per le indagini su crimini irrisolti e connessioni nascoste ma rappresenta anche un cedimento significativo nell’armatura precedentemente impenetrabile del clan.
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