Il tennis è uno sport elitario? Forse è solo uno stereotipo. Ma ci sono regole che sembrano confermare quest’idea, come quella che ogni anno torna puntuale a Wimbledon: l’obbligo assoluto di vestire di bianco. Nessuna eccezione, nemmeno una sfumatura crema.
Quando il sudore era considerato “inadatto”
Il regolamento di Wimbledon è unico tra i tornei del Grande Slam. L’origine di questa tradizione risale al XIX secolo, quando la traspirazione veniva vista come sconveniente, specialmente per le donne dell’alta società che praticavano il tennis.
Come spiegato da Meredith Richards dell’International Tennis Hall of Fame a NBC Sports, i tessuti bianchi nascondono meglio le macchie di sudore: “I giocatori sembravano sudare meno in bianco e la sudorazione era meno visibile”.
Da preferenza a imposizione
La regola, nata come consuetudine, è diventata obbligatoria nel 1963, quando la tennista Maria Bueno osò indossare un completo colorato. Da allora, il codice si è irrigidito.
Nel 2014, il regolamento è passato da “principalmente bianco” a “quasi completamente bianco”, escludendo persino suole colorate e accessori vistosi. Sul sito ufficiale di Wimbledon si legge chiaramente:
- Tutto l’abbigliamento deve essere bianco
- Sono ammessi solo bordi colorati di massimo un centimetro
- Il bianco deve coprire anche intimo, lacci e calzini
Un bianco che racconta uno stile (molto esclusivo)
Per il All England Lawn Tennis and Croquet Club, questa regola è simbolo di valori profondi. Come spiegano gli organizzatori: “Non si tratta di moda, ma di dare risalto ai giocatori e al tennis. Tutti, dal campione al qualificato, vestono di bianco. Chi vuole farsi notare, deve farlo con il gioco”.
Il bianco diventa così una forma di uguaglianza… ma anche di distinzione. Come sottolinea Kevin Jones, curatore del museo ASU FIDM, a CNN: “È una regola elitaria. Il bianco è difficile da mantenere, i tessuti come lino e cotone richiedono attenzione costante”.
Il bianco come simbolo sociale
Il tennis, un tempo appannaggio di aristocratici e club privati, ha mantenuto un’immagine di purezza estetica e morale. L’obbligo del bianco è diventato un marchio distintivo, non solo per i giocatori ma anche per le aziende.
Le grandi firme sportive, infatti, devono adattarsi alla tradizione con tagli, tessuti e dettagli minimal. Niente loghi vistosi, niente colori fluo: l’eleganza passa per la sobrietà.
Ribellioni e scandali in campo
Il codice ha spesso creato tensioni e polemiche. Tra gli episodi più noti:
- Andre Agassi boicottò il torneo dal 1988 al 1990 per protesta.
- Venus Williams fu costretta a cambiare reggiseno durante un match del 2017 perché spuntava un dettaglio rosa.
- Lo stesso anno, tre adolescenti furono obbligati a cambiare l’intimo per lo stesso motivo.
Una svolta per le atlete: la regola delle mestruazioni
Nel 2023, Wimbledon ha introdotto un’importante eccezione: le giocatrici possono indossare pantaloncini scuri sotto la gonna, purché invisibili. Una risposta concreta alle ansie legate al ciclo mestruale e un raro esempio di flessibilità da parte del torneo.
E gli altri tornei?
Gli altri Grandi Slam, come l’US Open, hanno abbandonato l’obbligo del bianco già nel 1972, puntando su colori vivaci e libertà espressiva. Una scelta strategica anche per i brand e la TV.
Kevin Jones lo riassume bene: “Il colore attira l’occhio e permette ai marchi di esprimersi con loghi e palette riconoscibili”.
Ma Wimbledon non arretra: l’eleganza rimane prerogativa del bianco, anche a costo di sembrare fuori dal tempo.
FAQ
Perché solo Wimbledon impone il bianco? Per una questione di tradizione, estetica e identità storica: è l’unico Slam a mantenere questa regola dal XIX secolo.
Chi ha introdotto questa regola? Il club organizzatore AELTC, ufficializzandola nel 1963 dopo anni di usanze non scritte.
Le atlete devono seguire le stesse regole? Sì, con l’aggiunta della recente deroga per pantaloncini scuri durante il ciclo mestruale.
Cosa succede se un giocatore non rispetta il codice? Può essere costretto a cambiare indumento o addirittura escluso dal torneo.
Il bianco migliora davvero il gioco? Non dal punto di vista tecnico, ma può avere un impatto sull’immagine e sulla percezione.