La Corte di Cassazione, con una decisione attesa e carica di tensione, ha scritto l’ultimo capitolo di una delle vicende giudiziarie più controverse della cronaca italiana: la strage di Erba. I giudici della V sezione penale, riuniti a Roma, hanno rigettato il ricorso presentato dalla difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi, i coniugi condannati all’ergastolo per il massacro dell’11 dicembre 2006. Quel giorno, in una palazzina di via Diaz a Erba, quattro vite furono spezzate a colpi di spranga e coltello: Raffaella Castagna, suo figlio Youssef di appena due anni, la madre Paola Galli e la vicina Valeria Cherubini. Mario Frigerio, unico sopravvissuto, fu il testimone chiave che inchiodò i due vicini di casa. Dopo tre gradi di giudizio e anni di tentativi per riaprire il caso, la Suprema Corte ha detto no: il processo non si rifarà, l’ergastolo resta.
La Strage di Erba: una notte di sangue
Era una fredda serata di dicembre quando Erba, un tranquillo comune in provincia di Como, si trasformò nel teatro di un orrore indicibile. Raffaella Castagna, 30 anni, suo figlio Youssef, la madre Paola Galli, 56 anni, e Valeria Cherubini, 55 anni, furono massacrate nella loro abitazione. L’incendio appiccato dagli assassini tentò di cancellare le tracce, ma Mario Frigerio, ferito gravemente alla gola, sopravvisse per miracolo grazie a una malformazione alla carotide. Fu lui, dal letto d’ospedale, a puntare il dito contro Olindo Romano, il netturbino del paese che viveva nello stesso stabile con la moglie Rosa Bazzi. “Sono quei due delinquenti lì”, disse in aula, sigillando il destino della coppia.
Le indagini si concentrarono subito sui coniugi, noti per i dissapori con i vicini. Le prove raccolte – una macchia di sangue di Valeria Cherubini sul battitacco della loro auto, le confessioni (poi ritrattate) di Olindo e Rosa, e la testimonianza di Frigerio – costruirono un castello accusatorio che resistette a tre gradi di giudizio: primo grado, appello e Cassazione nel 2011. Per i giudici, non c’era dubbio: erano stati loro.
La battaglia per la revisione: nuove prove o congetture?
Negli ultimi anni, però, la difesa di Olindo e Rosa non si è mai arresa. Guidata dall’avvocato Fabio Schembri, ha cercato di smantellare i tre pilastri della condanna: la testimonianza di Frigerio, la traccia ematica e le confessioni. Nel 2024, la Corte d’Appello di Brescia aveva già dichiarato “inammissibili” le istanze di revisione, giudicando le presunte nuove prove insufficienti a scardinare il verdetto. Ma il team legale, forte di un ricorso di 111 pagine, ha portato il caso fino alla Cassazione, sperando in un colpo di scena.
Tra gli elementi presentati, spiccano le perizie scientifiche che mettono in dubbio la credibilità di Frigerio, definito un “soggetto cerebroleso” per le ferite e l’intossicazione da monossido di carbonio subite quella notte. La difesa ha anche contestato la dinamica dell’omicidio di Valeria Cherubini, sostenendo che le sue ferite – tra cui una lesione al muscolo psoas e la lingua recisa – fossero incompatibili con la ricostruzione attribuita a Olindo e Rosa. E poi le confessioni, piene di “243 errori” secondo Schembri, che le renderebbero inattendibili. “Ci sono prove nuove, tutte importanti, che impattano sulla sentenza”, aveva dichiarato l’avvocato prima dell’udienza.
Ma il sostituto procuratore generale Giulio Monferini non ha lasciato spazio a dubbi. Durante la sua requisitoria, durata poco più di 30 minuti, ha definito le nuove prove “mere congetture” e “prospettazioni astratte”. “Non smontano in alcun modo i pilastri della condanna”, ha insistito, chiedendo l’inammissibilità del ricorso. La Cassazione gli ha dato ragione.